09 novembre 2006

«La Rete sia con te», disse lo Jedi (di Franco Carlini)

«La Rete sia con te», disse lo Jedi
Pubblicato da Franco Carlini il 2 Novembre 2006 sul suo blog Chips & Salsa.
http://chipsandsalsa.wordpress.com/2006/11/02/%c2%abla-rete-sia-con-te%c2%bb-disse-lo-jedi/

Una tecnologia abilitante sfonda le barriere. Informazioni e conoscenze sono in rete appena create, in spirito di condivisione e clamorosamente fuori mercato. E’ questa la minaccia che il web e le comunicazioni digitali portano a un’industria seduta su se stessa, abituata ad avere il monopolio dell’informazione quotidiana, ma della quale molti lettori hanno cominciato a fare a meno perché si sono fatti redattori ed editori essi stessi.

Cosa insegna l’internet ai giornali di carta e come li sta comunque cambiando? Molta della discussione in proposito si è svolta finora solo in termini di economia e di modelli di business, cioè dal punto di vista dell’impresa editoriale: copie calanti, pubblicità che migra verso la tv e ora verso l’online, alto costo delle risorse umane giornalistiche e, su tutto, la rete che produce e diffonde informazione abbondante e quasi sempre gratuita, sì da soddisfare anche i più esagerati bulimici di notizie.

Si provi tuttavia a rovesciare lo sguardo, mettendosi invece dalla parte dei lettori: dalla metà degli anni ’90, quando il web esplose come fenomeno di massa, è successo che almeno un miliardo di persone (un abitante della Terra su sei) ha potuto acquistare o avere accesso a dei personal computer di basso costo collegati all’internet e usarli per stare in relazione con amici lontani e ottenere informazioni su ogni argomento che interessi la sua vita e il suo lavoro. Ma soprattutto la disponibilità di una tale tecnologia abilitante (nel senso che «mette in grado di») ha fatto cadere le barriere tra chi produce notizie e le diffonde e chi ne fruisce solo leggendole. I miliardi di pagine che costituiscono il word wide web, ragnatela grande come il mondo, e che i motori di ricerca scandagliano e rimettono a disposizione di tutti noi, solo in minima percentuale sono state prodotte da imprese editoriali for profit; sono invece il frutto di una presa di parola di massa di singoli e di organizzazioni che hanno trovato in questo strumento una possibilità fino a ieri negata. Gli uomini del marketing hanno da tempo inventato una nuova locuzione per tale fenomeno: user generated contents (contenuti generati dagli utenti). Dalla politica alta alla scienza, dal porno ai manuali di cucina, c’è letteralmente di tutto e per tutti, fino al punto di creare un senso di stordimento. C’è abbondanza dove c’era scarsità, c’è libertà di espressione dove prima c’erano vincoli materiali e sociali. Non è un mondo virtuale, separato da quello reale ma è la forza che può rivitalizzare società ripiegate e media stanchi. «La Forza è la vita e la vita è la Forza» dice Obi-Wan Kenobi il saggio Jedi di Guerre Stellari e la metafora ben si applica a questo network la cui crescita in quantità e qualità nessuno dei suoi ideatori aveva previsto.

Un vero reazionario, ma intelligente, il boss dei media Rupert Murdoch, più di un anno fa, in una riunione degli editori americani di quotidiani, rinobbe di non aver capito niente dell’Internet e del resto anche il grande Bill Gates, nei primi anni ’90, aveva scrollato le spalle di fronte a chi gli parlava dell’internet: lì non c’è business, disse, clamorosamente sbagliandosi, sì che ora lui, l’uomo più ricco del mondo, si trova a inseguire i giovani che stanno plasmando la rete.

Se Murdoch e Gates, se la Ibm e Hollywood hanno come ragione sociale il produrre profitti, milioni di persone vanno sul web invece per altri scopi, dichiaratamente non di mercato, non per denaro. La condizione materiale per cui questo avviene è appunto l’abbondanza: la proprietà e la moneta vennero inventate dagli umani per gestire in maniera efficiente delle risorse scarse, così ci spiega l’economia classica. Ma quando il costo di un Pc è pari a 25 cene in pizzeria e miliardi di tali Pc accesi in tutto il mondo contengono nei loro dischi dei terabyte di informazioni e le mettono a disposizione dei loro confratelli, le regole del gioco cambiano totalmente. La battaglia strenua che le major della musica, del cinema e dell’editoria conducono nei tribunali contro la «pirateria» corrisponde al tentativo, si spera senza successo, di ricreare artificiosamente una scarsità, e perciò un valore monetario e dei profitti, là dove la rete ha creato un fantastico eccesso mai vista prima.

La cosa più drammatica per gli editori è che queste masse sparpagliate hanno cominciato a fare a meno di loro: dei loro quotidiani pieni di teatrini politici e di polemiche inventate, e dei loro programmi televisivi. Ludovico, 12 anni, l’altro giorno ricevette un Sms da una coetanea; era un appuntamento in chat da lì a mezz’ora e dunque: «dai mamma, corriamo a casa». Non per vedere dei telefilm, ma per chiacchierare spensieratamente felici come si può esserlo a quell’età (e se possibile anche più avanti negli anni). E non si accontentano di farne a meno come fruitori, addirittura invadono il loro campo, condividendo con il mondo gli appunti universitari, le foto di un evento, emettendo notizie dalla Tanzania come dalla Finlandia.

«Inaffidabili» che non siete altro, contestano alcuni giornalisti sventolando il tesserino dell’Ordine, mentre Murdoch, più lungimirante di loro, ammette realisticamente che «i nostri lettori sanno più cose di noi» e mentre i più furbi tra i loro colleghi e gli uffici di Pr delle aziende girano freneticamente per i blog per cogliere in anticipo tendenze e sentimenti del mondo.

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